L'unica cosa destinata ad accompagnarci per tutto il nostro (si spera lungo) percorso di vita saranno i tatuaggi e così L'Iss (Istituto superiore di sanità) ci dice che 13 Italiani su 100 sono tatuati.
Pare infatti che gli Italiani abbiano smesso di temere gli aghi e i tatuaggi e abbiano deciso di incidere la propria pelle, andando a raggiungere picchi statistici di incidenza impensabili quando il tatuaggio veniva visto come elemento di esclusione sociale o identificativo di determinate sottoculture giovanili.

Un recente indagine condotta dall'Istituto Superiore di Sanità ha mostrato come il fenomeno dei tatuaggi abbia raggiunto proporzioni enormi nel nostro Paese, andando a contagiare circa sette milioni di individui, pari al 12,8% della popolazione complessiva italiana, con un netto aumento di incidenza tra donne e giovanissimi.
Nell'ampia schiera dei tatuati italiani, il 13,8% del totale è rappresentato da donne, mentre circa l'8% è costituito da minorenni e giovanissimi, i quali possono accedere alla pratica solo tramite autorizzazione genitoriale.
L'ampio censimento della popolazione tatuata effettuato dai ricercatori dell'ISS ha infatti evidenziato come l'età media in cui si decide di farsi il primo tatuaggio si sia drasticamente abbassata alla soglia dei 25 anni e come sulla media complessiva influisca quell'ampia schiera di minorenni per la quale l'idea di avere un marchio indelebile (o quasi) sulla pelle non rappresenta un problema in ottica futura.
Fortunatamente, in tutta questa corsa all'eternità, pare che la stragrande maggioranza di coloro che hanno deciso di farsi tatuare (circa il 92,2% degli intervistati) si dichiari pienamente soddisfatta della scelta operata e che solo un'esigua percentuale pari al 4,3% del totale abbia deciso di ricorrere ai complessi metodi di rimozione sulla scia di un pentimento evidentemente insormontabile.
Da un punto di vista sanitario, i tatuaggi non comportano particolari rischi per la salute a patto di attenersi alle basilari norme igieniche e di evitare come la peste quegli studi semi-abusivi all'interno dei quali rischi legati alla contrazione di patologie virali
aumentano a dismisura e il fatidico “finché morte non vi separi”
potrebbe non essere un periodo lungo quanto postulato al momento di
tatuarsi.
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